5.11.08

Obama



Doppiato il numero di grandi elettori di Mc Cain. I sondaggi della vigilia non erano sbagliati. Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti, entrando nella storia come il primo afroamericano a salire alla Casa Bianca.
E mentre l'orgia mediatica prospera di "Yes we did!" riprodotti via-social-media su milioni di terminali, enormi sono le questioni aperte che pesano, come eredità e prospettiva, sul capo del 44° presidente Usa e della sua futura amministrazione: un'economia a pezzi, due guerre aperte e in sostanziale perdita, una antipatia globale per la nazione ritenuta responsabile della crisi in atto. Ostacoli e difficoltà che hanno, proprio per questo, portato Obama alla vittoria.

Le ragioni della vittoria

1 - La guerra e la mentalità-bunker
Nell'iniziale sostegno alla candidatura ha molto giovato il senso di frustrazione e scoramento prodotto in pezzi consistenti di popolazione dagli effetti di due mandati repubblicani, costruiti sulla legittimazione di una prospettiva di guerra infinita e il restringimento progressivo delle libertà personali seguito al Patriot Act. L'inizio della sua salita agli onori delle cronache mondiali coincide con uno dei punti più bassi della reputazione statunitense nel resto del pianeta, nel momento in cui grandissime e stabilizzate erano le perdite umane quotidiane in Iraq.

2 - Icona pop
Dove Obama ha vinto e segnato una differenza soggettiva forte nei confronti del rivale è però nella potente capacità di costruzione immaginifica e segnica della sua macchina propagandistica. Fin dall'apparire Obama si è imposto soprattutto per la sua capacità di essere icona e oggetto di desiderio, in una parola: divo.
Le scene di folla in delirio che hanno accompagnato la campagna elettorale prima e l'esplosione della vittoria poi, rientrano appieno nella tradizione statunitense di fabbrica mondiale d'immagini, da Hollywood ai comics. Obama ha fatto presa nella capacità sua e del suo staff di forgiare un'immagine di leader in cui forte è il meccansimo di proiezione/identificazione.
Last but not least, Obama è il primo presidente ad aver puntato strategicamente su internet e l'auto-attivizzazione dal basso dei suoi militanti (con grandi capacità di vampirizzazione degli immaginari "di movimento"). Obama ha infatti conquistato piu` di due terzi dei voti degli elettori sotto i 30 anni. E per la prima volta nella storia, questa generazione di cittadini americani ha “consumato” piu` informazioni su Internet che alla televisione.

3 - Alleata-crisi
Il fattore decisivo è stato però giocato dall'esplosione bubbonica della crisi finanziaria, dispiegata su scala globale ma con forte epicentro statunitense: le distruzioni di enormi capitali e il via alle politiche reppresive di pignoramento contro i debitori-insolventi hanno fatto crollare il castello (e i sogni ) di una politica economica tutta costruita sul consumo senza ricchezza, sul credito senza salario. In poche settimane, milioni di american* hanno visto crollare l'impalcatura ideologica del liberismo e dell'american way of life, tastando (o percependo) la vicinanza di una miseria molto prossima.
Immersa nel disastro della crisi, una parte consistente dell'elettorato bianco working-class sembra non aver voluto dare più di tanta importanza al "fattore R", individuando nella gestione economica repubblicana, la responsabilità dello sfacelo che si è trovata innanzi.

A dispetto però dei molti ottimisti che sperano nella ri-apertura di una nuova stagione di riforme keynesiane-newdealistiche, le dichiarazioni programmatiche di Obama in materia di politica economica restano ancora incerte e troppo generiche. Vero è che gli ultimi 2 mesi di campagna elettorale (quelli che hanno visto lo scoppio della crisi) hanno coinciso col ripetuto ricorso del candidato alla promessa di "ridistribuzione", quanto è bastato per farsi bollare da "socialista".

L'ombra permanente: the War goes on...
Dove Obama non porterà nulla di nuovo è sul fronte della politica estera, da sempre nelle mani del complesso militare-industriale ed unica oggettiva arma statunitense per rimanere
Con Petraeus e Brzezinski, Obama porterà più guerra in Afghanistan e Pakistan. Il suo slogan, "Change", cambiamento, non significa la fine della 'Gwt', la Guerra Globale al Terrorismo ma solo un cambiamento dei campi di battaglia: via dall'Iraq per concentrare più uomini e più mezzi sul limes centro-asiatico presidiato dai pashtun.

Con buona pace dei tanti speranzosi della sinistra mondiale, valga per tutti quello che ha scritto di recente il molto scettico Mike Davis, tra i più profondi e implacabili conoscitori della realtà sociologica e politica statunitense:
"E' un'ironia amara, ma storicamente prevedibile, che una campagna presidenziale sostenuta da milioni di votanti per la sua promessa di farla finita con la guerra in Iraq abbia ora ipotecato sé stessa, vincolandosi all'escalation in un conflitto senza speranza in Afghanistan e sulla frontiera tribale del Pakistan".

Fonte: Infoaut


BUONA LA NOTIZIA DELL'ELEZIONE DI BARAK OBAMA, PERSONALMENTE PERO' NON MI FAREI GRANDI ILLUSIONI IN MERITO AD UN CAMBIAMENTO NELLA POLITICA INTERNA ED ESTERA DEGLI STATI UNITI. CHI COMANDA DAVVERO SONO INFATTI I PETROLIERI E GLI IMPRENDITORI DELLE ARMI.

1 commento:

Crocco1830 ha detto...

Hai ragione: niente illusioni. Meglio Obama di McCain, questo è fuori di dubbio. Ma non cambierà molto la politica USA.