7.1.10

Yemen, quando la fretta è cattiva consigliera

 

 

Le autorità di Sana'a smentiscono l'arresto del capo di al-Qaeda, anche perché quello vero è un imam nato e cresciuto negli Usa

 

Yemen

 

Il vertice di martedì 5 gennaio nella Situation Room, un locale blindato qualche piano sotto lo Studio Ovale alla Casa Bianca, deve essere stato un vero e proprio regolamento di conti tra le troppe agenzie della sicurezza negli Usa. Il presidente Obama furioso, attaccato dai media conservatori e non, voleva subito un risultato da esporre nei telegiornali degli Stati Uniti d'America.

Errore di persona. La fretta, però, è cattiva consigliera e ieri i media Usa ed europei si sono precipitati a celebrare l'arresto del 'capo di al-Qaeda in Yemen'. Solo che non era vero, sia perché le autorità yemenite oggi hanno smentito di aver arrestato Mohammad Ahmed al-Hana sia perché non è lo stesso al-Hana il leader della rete di estremisti islamici nello Yemen.
La fretta, come detto, di segnare un punto a favore della 'lotta al terrorismo' ha confuso le carte. Al-Hana, in realtà, è l'uomo che comandava la cellula che, nei giorni scorsi, si è impadronita di un carico di armi ed esplosivi che viaggiavano (piuttosto incautamente) su sei camion dell'esercito yemenita diretti alle truppe al fronte che combattono nel governatorato di Saada, nello Yemen settentrionale, contro i ribelli sciiti fedeli al predicatore al-Houti. I fondamentalisti di al-Hana hanno attaccato il convoglio e si sono impadroniti delle armi. Allarme rosso in Yemen e ambasciate che chiudono nella capitale, in quanto tutti erano convinti che il carico sarebbe stato utilizzato per colpire obiettivi nella capitale.

 

Ansia da prestazione. Nelle prime ore dopo la scomparsa del carico i reparti speciali dell'esercito yemenita hanno dato vita a una furiosa caccia all'uomo e, nel giro di poche ore, hanno ritrovato la banda e hanno ingaggiato battaglia. Due miliziani, il 5 gennaio, sono stati uccisi durante l'operazione e altri tre feriti e poi piantonati in ospedale. Ieri, 6 gennaio, la diffusione della notizia della cattura di Mohammad Ahmed al Hana, capo del gruppo, sfuggito in un primo momento alla cattura.
Notizia eccellente per Obama che, domani, ha annunciato un resoconto sconvolgente che dimostra come l'intelligence Usa aveva tutte le informazioni necessarie per fermare Umar Farouk Abdulmutallab, il ragazzo nigeriano che il 24 dicembre scorso ha tentato di farsi esplodere su un volo Amsterdam - Detroit.
Sul sito dell'ambasciata Usa a Sana'a, prontamente riaperta, il Dipartimento di Stato statunitense si congratulava con le autorità yemenite e, anche se non poteva scriverlo, riteneva di poter meglio giustificare la pioggia di denaro che arriva da Washington ma che per adesso ha prodotto risultati mediocri.

Washington - Sana'a: alta tensione. Prima di tutto l'evasione, nel febbraio 2006, di 23 detenuti da un carcere di massima sicurezza della capitale yemenita. Tra loro le menti dell'attentato dell'ottobre 2000 contro il cacciatorpediniere Uss Cole della marina militare Usa, nel quale persero la vita 17 marinai statunitensi. Come se non bastasse, sono decine i detenuti di Guantanamo che provengono dallo Yemen e molti di quelli rilasciati e spediti in patria sono tornati nel giro di poche ore tra le file dei combattenti. Il presidente Usa Obama, in campagna elettorale, ha fatto della chiusura della prigione di Guantanamo un punto d'onore per lo stato di diritto Usa. Per adesso la base è ancora aperta, ma Obama e il suo staff già immaginano gli attacchi della destra rispetto alla chiusura della prigione.
Insomma serviva un risultato, ma è quello sbagliato. Come detto Mohammad Ahmed al-Hana non è tra le persone catturate ieri e, cosa ancora più importante, non è il capo di al-Qaeda in Yemen.
Il vero leader, re incontrastato del web con le sue fatwe, è Anwar al-Awlaki, l'uomo indicato dallo stesso ministro degli Interni dello Yemen come mentore di Abdulmutallab.

Il vero capo. Al-Awlaki, 38 anni, è nato negli Usa, nel New Mexico, dove suo padre insegnava all'università. Dopo studi da ingegnere, si è dato agli studi religiosi diventando uno degli imam più estremisti. Sempre lui avrebbe istruito Nidal Malik Hasan, l'ufficiale che ha massacrato il 5 novembre scorso 13 persone nella base militare Usa di Fort Hood.
Al-Awlaki tornò in Yemen con la famiglia, prima di rientrare negli Usa dove lavorò come imam a San Diego e dintorni. Venne arrestato una prima volta nel 1996, con l'accusa di induzione alla prostituzione. Una pagina oscura nella vita di questo fervente musulmano, o più prosaicamente dei contatti con reti di criminalità ordinaria per finanziare altre attività? In quel periodo ha frequenti contatti con almeno due degli attentatori dell'11 settembre 2001. Proprio dopo l'attacco alle Torri Gemelle lascia per sempre gli States, ma non si rifugia su una montagna abbandonata del Pakistan, bensì a Londra. La capitale del più importante alleato Usa nel mondo lo ospita per ben due anni, prima di tornare in Yemen. Dove si trasferisce, indisturbato, nella provincia di Shabwa. Gli Usa, alo Yemen, hanno dato milioni di dollari per combattere persone come Anwar al-Awlaki, ma nulla è stato fatto. Obama, nel suo rapporto sconvolgente, dovrebbe spiegare come è possibile che al-Awlaki si sia mosso, per anni, liberamente. E dovrebbe farlo anche se è molto imbarazzante ammettere che è lui il vero capo di al-Qaeda in Yemen.

 

Fonte: Peacereporter

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10 commenti:

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