3.12.06

Assemblea nazionale delle Rsu


E' estremamente lunga, ma questa relazione tratta da www.coordinamentorsu.it è estremamente interessante......Quindi munitevi di santa pazienza e leggete....



Oltre 200 delegate e delegati Rsu di diversi luoghi di lavoro hanno proposto l’incontro odierno.

E’ forte il disagio che avvertiamo tra i lavoratori e le lavoratrici su come si stiano mettendo le cose su pensioni, TFR, contrattazione, e non solo.

Altrettanta preoccupazione avvertiamo per quanto riguarda il venir meno del rispetto dei più elementari principi della democrazia sindacale.

Nell’opposizione sindacale alle politiche economiche e sociali del Governo Berlusconi avevamo visto aprirsi spiragli positivi in materia di difesa e risposta alle politiche liberiste, anche se ne avvertivamo la debolezza strategica in mancanza di una convinta critica alla linea ed alla pratica concertativa, necessaria per dare sbocco e credibilità a quella svolta che dai luoghi di lavoro veniva richiesta.

La caduta del Governo Berlusconi sembrava riaprire comunque la possibilità di un discorso che mettesse mano ai guasti del liberismo selvaggio di questi anni, con l’abolizione della legge 30, della Bossi-Fini, della controriforma Moratti, con la difesa del sistema previdenziale pubblico, del salario in tutte le sue forme e che gettasse le basi per un percorso di emancipazione del lavoro alle tante, troppe, subordinazioni normative e contrattuali subite in questi anni.

Paradossalmente ci troviamo invece oggi di fronte ad una controparte Governativa che, in perfetta sintonia con Confindustria, ci ripropone nella sostanza una politica di tagli e sacrifici all’interno di una strategia di sostegno al profitto ed alla rendita e di smantellamento di quel quadro di diritti sociali e previdenziali per difendere i quali abbiamo lottato in questi anni.

E paradossalmente viene anche a meno quella iniziativa di lotta e di proposta che il sindacato confederale sembra oggi incapace di esprimere di fronte al così detto “Governo amico”.

Così è, ad esempio, che Cgil Cisl e Uil arrivano a sostenere che “questa finanziaria è la nostra finanziaria”.

Epifani, poi, nella sua relazione all’ultimo Comitato Direttivo della Cgil, arriva esplicitamente a teorizzare una sua nuova ed originale idea d’autonomia sindacale subordinata all’obiettivo di sostenere questo governo per evitarne la caduta.

Noi invece chiediamo al sindacato che si rimanga sui problemi reali che si chiamano salario, pensioni, diritti ed occupazione e che si eserciti quella autonomia ed indipendenza dai padroni e dai governi che si fonda unicamente nella capacità di rappresentare i bisogni dei lavoratori e di garantire il loro diritto a decidere sulle linee sindacali.

E’ assurdo che di fronte ad una legge finanziaria così importante e pesante che oltre tutto trascina con se una serie di prossimi interventi su pensioni, mercato del lavoro e contrattazione non ci sia stato da parte sindacale un coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori.

Noi siamo sicuri che se questa finanziaria l’avesse proposta un Governo Berlusconi oggi ne sarebbero stati proclamati già tre di scioperi generali, magari con manifestazione a Roma, ed i lavoratori vi avrebbero partecipato in massa.

Abbiamo visto invece il sindacato confederale, non senza impaccio, articolarsi nei giudizi sulla finanziaria, dagli entusiastici apprezzamenti alle “luci ed ombre” che poi si risolvono in deboli e frantumate mobilitazioni, come quelle indette nel settore scuola in questi giorni, che sembrano più che altro proclamate per dare una valvola di sfogo ai lavoratori.

Abbiamo visto la firma di accordi, di memorandum, di avvisi comuni, senza che nessun lavoratore sia stato messo in grado di discutere e di dire la sua in merito.

Eppure non si parlava di noccioline … anzi!!

Sembra ormai un obbligo istituzionale tornare ogni anno a denunciare la tenuta dell’istituto previdenziale pubblico. Ormai da Amato ad oggi, passando da Dini, abbiamo capito in realtà cosa bolle in pentola e quali sono i veri obiettivi di questo continuo attacco:

· Sostenere lo sviluppo di un mercato finanziario, quello delle pensioni integrative che in questi anni si è dimostrato asfittico anche per la scarsa adesione delle lavoratrici e dei lavoratori,

· Liberare le imprese dagli oneri previdenziali ed assistenziali (sempre più considerati impropri dal sistema),

· Rendere esigibili alle spese correnti ed assistenziali dello Stato quote consistenti di risorse (ovviamente parliamo di contributi previdenziali e di TFR) altrimenti destinate al finanziamento della previdenza pubblica.

E sappiamo anche che tutto ciò può essere realizzato solo attraverso due operazioni:

· Una operazione ideologica per declassare la previdenza a “onere per lo stato” (costi), e quindi rimuoverla dalla sua propria sede contrattuale facendola sempre più dipendere dalla legislazione statale (il vincolo alla percentuale di Pil introdotta da Dini ha dato il via a questa operazione). Ci si vuol far credere cioè che la pensione non è salario differito ma una gentile concessione dello Stato da elargire compatibilmente con le disponibilità ed i bisogni di cassa dello Stato stesso.

· Lo smantellamento sostanziale del grado di copertura della pensione pubblica e del suo carattere solidaristico ed universalistico tale da giustificare il dirottamento di sempre maggiori quote di salario del lavoratore al finanziamento di percorsi previdenziali integrativi dai rendimenti incerti poiché legati agli andamenti del mercato finanziario.

In questo senso si collocano le particolari proposte oggi sul tappeto:

· Passaggio immediato al sistema contributivo,

· Allungamento dell’età pensionabile,

· Riduzione dei coefficienti di rendimento pensionistici,

· Riduzione del carico contributivo alle imprese,

· Dirottamento di ulteriori quote di salario, oltre a quelle già destinate a sostenere la previdenza pubblica, a sostegno del mercato finanziario tramite lo sviluppo delle pensioni integrative,

· Riformare gli enti previdenziali (e quindi la gestione delle risorse in essi allocati) in organismi che dipendano sempre più esplicitamente dalle politiche di spesa dello Stato.

Come sempre, tutta questa campagna per tagliare e riformare il sistema previdenziale viene giustificata dall’assunto che l’attuale sistema (per altro già notevolmente manomesso dalle riforme precedenti) non sia in grado di reggere nel tempo.

NON E’ VERO CHE IL SISTEMA PREVIDENZIALE PUBBLICO SIA AL COLLASSO

I bilanci Inps parlano chiaro:

· Il Fondo dei lavoratori dipendenti presenta attualmente un attivo 2 miliardi di euro.

· In deficit sono semmai altri fondi (trasporti, elettrici, telefonici, dirigenti d’azienda, artigiani, commercianti, agricoltori) il cui valore contributivo non ha mai coperto l’effettivo valore delle pensioni erogate.

Sull’Inps continuano inoltre a gravare:

· Le spese assistenziali che dovrebbero essere sostenute dalla fiscalità generale, ma vengono invece anticipate dall’Inps (Gestione degli interveti assistenziali) o quelle che derivano da un uso improprio della spesa previdenziale: prepensionamenti per favorire le ristrutturazioni aziendali, espulsione precoce dei lavoratori “maturi” per favorire lo “svecchiamento” della manodopera ecc.,

· L'enorme evasione previdenziale per decine di miliardi, su cui è grave la tolleranza che anche il Governo Prodi sta dimostrando (art.178 della finanziaria che condona i reati contributivi ai gestori di call center, e la recente sanatoria per 6 miliardi di euro di mancati versamenti contributivi da parte delle imprese agricole),

· Una enorme massa di crediti (38,49 miliardi nel 2006) che costituiscono un prestito erogato alle aziende debitrici e mai riscossi,

· Senza contare, come si diceva prima, la sottocontribuzione di numerose categorie (autonomi, agricoli, parasubordinati, ecc.) ed i risparmi previdenziali concessi alle aziende per alcune tipologie di lavoro e per alcune parti della retribuzione, decontribuzioni che per altro, assurdamente, già si pensa di estendere.

Possiamo quindi affermare, ma già lo dicevamo e non solo noi fin dai tempi di Dini, che la cassa previdenza dei lavoratori dipendenti sta oggi finanziando politiche che non le competerebbero (assistenza, condoni previdenziali, compensazione dei fondi in deficit, solidarietà verso quei lavoratori la cui azienda, essendo fallita, non può essere costretta a risarcire i mancati contributi e le mancate liquidazioni).

Senza dimenticare la vendita dei beni immobili dell’Inps, decisa dal Governo Berlusconi per abbattere il debito dello Stato. Immobili di proprietà dell’Inps a garanzia dei fondi pensione.

Nonostante ciò i conti Inps dimostrano che ancora la cassa previdenza dei lavoratori dipendenti non è al collasso.

Il sistema previdenziale italiano deve rispondere a quanto stabilito dall'articolo 38 della Costituzione Repubblicana che garantisce ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. Questo non può essere assicurato attraverso le forme incerte, aleatorie e rischiose del sistema di finanziamento a capitalizzazione proprio della cosiddetta previdenza complementare privata.

Affermare che bisogna tornare a tagliare le pensioni è ora, come lo era ieri, tanto suggestivo quanto infondato.

Ridurre la spesa previdenziale non è una necessità oggettiva, ma è un dictat imposto dalle politiche economiche neoliberiste, che in questi anni hanno trasferito gran parte del reddito dal lavoro alla speculazione finanziaria.

COSA BISOGNEREBBE FARE QUINDI?

Basterebbe il ragionamento appena fatto per rendere evidente come le prime cose da fare per sostenere ancora per parecchi anni il sistema previdenziale pubblico sono invece:

· Realizzare finalmente la separazione completa fra previdenza e assistenza (già promessa al tempo dei tagli della Dini ma mai realizzata compiutamente),

· Procedere alla omogeneizzazione di contribuzioni e prestazioni,

· Separare quei fondi speciali in forte passivo e caricare sulle quelle categorie l’onere di realizzare politiche di equilibrio dei conti,

· Lotta all’evasione ed alla elusione contributiva, cominciando dalla sospensione di qualsiasi condono o sanatoria, e bloccando le politiche di sostegno alle imprese basate sui risparmi previdenziali,

· Effettivo recupero dei crediti.

In molti però ci dicono che tutto ciò non risolverebbe nulla, perché il disequilibrio del sistema, nel tempo, dipenderebbe dalla scarsità dei contributi versati rispetto alle pensioni erogate.

A dire questo sono gli stessi che ieri come oggi hanno sostenuto la pratica dei condoni e degli sgravi previdenziali e già per questo la loro preoccupazione perde di qualsiasi credibilità.

Ma se fosse necessario, in prospettiva, garantire maggiore copertura al sistema pubblico, perché allora non utilizzare quelle enormi risorse dei lavoratori, che oggi si vogliono dirottare ai fondi integrativi, a sostegno, invece, di un migliore rendimento della pensione pubblica?

A questo non si risponde perché in realtà l’obiettivo di questi non è, come dicono, la difesa della previdenza pubblica ma fare cassa attorno ad un progetto finanziario, sul quale sono in molti anche nel sindacato a puntare, pensando così di realizzarsi come nuova soggettività finanziaria, interlocutrice di un mercato e di una economia ormai sempre più strutturata sul modello neocorporativo.

Inoltre, come già abbiamo detto ai tempi della controriforma Dini, e come abbiamo sempre detto sulla legge 30, se vogliamo pensare da subito a come sostenere il sistema sul lungo periodo, occorre anche contrastare lo sviluppo della precarietà nel lavoro.

Anche chi difende la legge 30 sa benissimo che è lo sviluppo di una sempre maggiore massa di lavoratori precari che rende difficile difendere il sistema pensionistico negli anni, e questo vale, paradossalmente anche per le pensioni integrative che in tanti si affannano a presentarcele come la panacea di tutti i mali.

Precarietà di lavoro vuol dire precarietà salariale e contributiva.

Ma i difensori della scelta a favore delle pensioni integrative ci dicono che ciò è bene per i giovani, per dare una speranza previdenziale ai lavoratori precari.

Ma chi è precario può contare su una retribuzione bassa e non costante nel tempo che gli permette a malapena di versare contributi per una pensione da fame, e chi tra questi potrà permettersi di pagarsi a parte anche una pensione integrativa senza per questo finire a dormire sotto i ponti?

Ci vorrebbe a questo punto una capacità sindacale di denunciare le falsità e ribaltare il ragionamento sulle pensioni, proponendo, come si diceva prima, alternativamente ad una politica di tagli e di smantellamento del sistema, una efficace politica di entrate.

LA RISPOSTA SINDACALE NON CI CONVINCE

Se siamo qui oggi è perché siamo di fronte ad una risposta sindacale assolutamente inadeguata e sbagliata ed a un procedere sindacale che sembra più preoccupato di risolvere i problemi al Governo che a rappresentare la volontà delle lavoratrici e dei lavoratori che dovrebbero rappresentare.

Sul piano generale il sindacato confederale ha di fatto sposato l’idea che per salvare il sistema previdenziale la risposta debba essere lo sviluppo delle pensioni integrative. Una strana teoria che in realtà accetta la necessità dei tagli al sistema previdenziale pubblico.

La compromissione sindacale su questo piano data ormai dalla controriforma Dini ma si è oggi ulteriormente sostanziata :

· Con la firma di un Memorandum d’intesa che di fatto impegna il sindacato ad un accordo sulle pensioni entro marzo 2007. Già il Memorandum contiene i punti che andranno normati ed è evidente, al di la di quanto si affannano a dire, che questi prevedono l’allungamento dell’età pensionabile e la riduzione dei coefficienti di rendimento pensionistico.

· Con l’accordo sul TFR e pensioni integrative. Un accordo tra due parti interessate a fare cassa sullo stesso soggetto. Il sindacato ha ottenuto l’anticipo al 2007 per il rastrellamento del TFR a sostegno dei fondi pensione integrativi ed il Governo si è intascato il diritto di trasferire su un fondo nella disponibilità dello stato il TFR inopinato per finanziare le proprie spese, forse in infrastrutture.

· Un accordo particolarmente arrogante nella sua sostanza per come si sia deciso di mettere le mani in tasca ai lavoratori senza neppure preoccuparsi di sentirne il parere e per come si sia imposto il sistema (in odore di anticostituzionalità) del silenzio-assenso, per la vendita (poiché di questo si tratta e non di altro) di un prodotto finanziario com’è la pensione integrativa.

· Con la firma dell’avviso comune sui Call Center, di fatto un accordo la cui utilità è rintracciabile solo nel fatto che toglie una patata bollente dalle mani delle aziende, pizzicate dagli ispettori del lavoro, ma che nella sostanza ha portato il sindacato a scendere sul piano della contrattualizzazione di quella legge 30 che fino ad ieri si diceva di voler abolire.

· E non dimentichiamo certo i silenzi sindacali sui condoni previdenziali (art.178 della finanziaria e condoni agricoli).

Questi accordi e questa pratica dimostrano come sia valida la nostra preoccupazione nel denunciare la liquidazione di ogni ipotesi di difesa del sistema previdenziale pubblico da parte del sindacato confederale.

Una preoccupazione che abbiamo posto con forza in questi mesi e che abbiamo visto crescere nei luoghi di lavoro. In tanti hanno chiesto che ci si fermasse a discutere, che nessun accordo fosse firmato senza prima averne discusso nei luoghi di lavoro, consegnando ai lavoratori il diritto di esprimersi nel merito del mandato sindacale.

Se siamo qui oggi è perché non ci è stato dato altro luogo per discutere e per rendere evidente il forte dissenso che sta nascendo tra i lavoratori, nei luoghi di lavoro, nei confronti di una linea e di accordi firmati senza alcun mandato e senza alcun consenso.

Siamo qui anche per parlare di democrazia quindi, e del bisogno enorme di un sindacato diverso, democratico, partecipato. Una democrazia che vediamo negata nella sua semplice essenza quando parliamo di accordi firmati sulla testa dei lavoratori, di consultazioni negate ed infine, quando vediamo mettere all’indice, anche dentro le strutture sindacali, quelle categorie e quei sindacalisti che hanno il coraggio di dirsi non d’accordo con l’attuale linea sindacale.

Non si era mai arrivati a tanto. Perfino sull’accordo con Dini si arrivò, anche se a fatica e dopo mesi di battaglie, ad un referendum nei luoghi di lavoro (un referendum senza regole e possibilità di verifica dove comunque l’accordo fu bocciato nelle fabbriche e passò di misura solo grazie al voto dei pensionati).

Senza democrazia non c’è sindacato, ma solo apparati autoreferenziali, cioè un’altra cosa dal sindacato che vogliamo.

Per questo la battaglia che oggi vogliamo aprire deve avere come cuore anche l’obiettivo di ripristinare gli elementari diritti dei lavoratori a poter decidere, ed anche per questo abbiamo chiesto e chiediamo ancora oggi, al sindacato confederale, di ritirare la firma da quegli accordi, avvisi comuni, memorandum, firmati senza alcun mandato dai lavoratori.

Chiediamo al sindacato confederale di sospendere ogni trattativa e di realizzare invece una vera consultazione tra tutti i lavoratori per definire obiettivi e piattaforme condivise.

Non parliamo solo di pensioni e TFR ovviamente:

· Già Confindustria ha chiesto l’apertura di un tavolo sulla produttività. Sappiamo cosa Confindustria vuole portare a casa. Più libertà sugli orari di lavoro e sulla loro distribuzione, snellimento del contratto nazionale a favore di un peso maggiore da affidare alla contrattazione decentrata, sia in materia di normative che di salario.

· Già il Governo ha chiesto l’apertura di un tavolo sulla precarietà con l’obiettivo di contrattualizzare la legge 30, modificandone le parti più assurde ed inique, ma salvaguardandone la portata e la struttura.

Tutte cose, queste, assieme al capitolo pensioni, concentrate nei primi mesi del 2007, quasi come se si volesse una volta per tutte fare la quadratura del cerchio,una specie di resa dei conti, per rendere anche formalmente stabili i nuovi livelli di subordinazione a cui si pensa di costringere il lavoro agli obiettivi di remunerabilità delle imprese ed agli obiettivi di bilancio del Governo.

Sappiamo tutti e bene quale è la posta in gioco. In gioco c’è il livello di autonomia sindacale, il livello di emancipazione del lavoro dalle subordinazioni impostegli in questi anni, in gioco ci sono gli interessi salariali e normativi per milioni di famiglie di lavoratori, ma in gioco c’è anche lo stesso sindacato che deve decidere se rappresentare i lavoratori o trasformarsi definitivamente in una lobby.

Non vogliamo essere gentili nelle nostre affermazioni perché sentiamo forte e pesante la preoccupazione dei lavoratori per quanto avverrà nei prossimi mesi, così come sentiamo pesante la convinzione che senza una forte pressione dal basso i sindacati confederali non cambieranno linea e strategia.

Ma avvertiamo anche l’esigenza di una forte sinistra sindacale, fondata su obiettivi e percorsi condivisi. Per questo riteniamo che le polemiche di queste settimane in merito al ruolo del sindacalismo di base siano attacchi gratuiti che si spiegano solo con la volontà di divisione e di criminalizzazione di un dissenso che è in realtà molto più vasto ed articolato di quanto Cgil Cisl Uil ritengano.

Ogni valutazione sulla validità di un percorso va fatta sul merito delle cose. Insieme abbiamo costruito la manifestazione del 4 novembre, così come abbiamo tutti condiviso gli obiettivi dello sciopero del 17 novembre contro la finanziaria. Per questo abbiamo condiviso anche la scelta di pezzi di Cgil ad essere n piazza il 4 novembre ed il fatto che anche dall’interno della Cgil si siano dati giudizi di condivisione ai punti della piattaforma per il 17 novembre.

Ed anche per questo riteniamo che su una questione come Pensioni e Tfr non si deve aver timore di cercare percorsi unitari tra tutte le forze della sinistra sindacale ovunque collocate, siano esse in Cgil come pure nei sindacati di base.

In conclusione provo ad elencare alcune prime proposte di lavoro discusse come gruppo di coordinamento nazionale per l’organizzazione di questa assemblea, riunitosi a Roma il 25 novembre scorso al margine del Forum che abbiamo organizzato sulle pensioni.

Il dato principale è che dobbiamo promuovere ed organizzare da subito, la messa in campo, nei territori, nelle categorie, nei singoli luoghi di lavoro, la presenza di una proposta diversa da quella sostenuta oggi da Cgil Cisl Uil. Per questo si pensa alla costituzione a livello nazionale, con diramazioni poi a livello locale, di un “Comitato per la difesa della pensione pubblica” e per la cancellazione del sistema del silenzio-assenso.

Invitiamo a far parte del comitato le i lavoratori, le Rsu, i singoli delegati e delegate, organizzazioni sindacali e singoli sindacalisti, avvocati e giuristi, quanti in definitiva si riconoscono nella necessità di rilanciare una piattaforma in difesa della previdenza pubblica anche organizzando il diniego esplicito tra i lavoratori nella adesione ai fondi integrativi.

Un comitato per la difesa della previdenza pubblica che espliciti la sua posizione e le sue proposte attraverso la distribuzione di volantini, l’organizzazione di seminari ed assemblee pubbliche e partecipando alle assemblee nei luoghi di lavoro anche con la presentazione di ordini del giorno e mozioni.

A sostegno di questo percorso il Comitato per la difesa della previdenza pubblica si avvarrà anche di un pool di giuristi ed avvocati per non lasciare nulla di intentato in materia di anticostituzionalità del sistema del silenzio- assenso nella compravendita di prodotti finanziari, altrimenti presentata come adesione ai fondi pensione integrativi.

Intendiamo cioè proporre la costruzione di una rete nazionale che favorisca la discussione tra i lavoratori e che sappia organizzare il loro dissenso sulle operazioni proposte in materia previdenziale e sostenere la richiesta di una diversa piattaforma sindacale.

E’ chiaro che qualsiasi accordo dovesse essere raggiunto tra Governo e Sindacati, noi chiediamo fin da ora, e promuoveremo la crescita di questa richiesta tra i lavoratori, l’organizzazione di un referendum vincolante, con regole certe e trasparenti, da tenersi in tutti i luoghi di lavoro.

Crediamo infine che questa assemblea deve darsi una sua continuità prevedendo una sua riconvocazione nei prossimi mesi anche per valutare eventuali iniziative di mobilitazione legate al come la situazione dovesse evolversi.

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